Allarmante diffusione dell’analfabetismo funzionale tra i giovani laureati: un problema sottovalutato

Negli ultimi anni, si è diffusa una crescente preoccupazione riguardo a un fenomeno che sembra sempre più pervadere la società italiana: l’analfabetismo funzionale, persino tra coloro che hanno concluso percorsi universitari. Questo termine descrive l’incapacità di comprendere e utilizzare in modo adeguato le informazioni, nonostante si possieda un’istruzione formale. Sorprendentemente, il fenomeno sembra colpire non solo persone con bassa scolarizzazione, ma anche laureati e professionisti, spesso con anni di studi alle spalle.

Il campione di riferimento per questa analisi è variegato: giovani provenienti da diverse parti d’Italia — Nord, Sud, Centro e isole — accomunati dal fatto di aver frequentato l’università, conseguendo lauree triennali, magistrali o dottorati di ricerca. Nonostante questo percorso educativo avanzato, ciò che si nota è l’incapacità di molti di affrontare situazioni quotidiane che richiedono una comprensione critica o la gestione di semplici informazioni.

Uno degli aspetti più allarmanti è che questo problema sembra affliggere maggiormente i giovani sotto i trent’anni, mentre tende a diminuire tra le persone di età superiore. Dopo un decennio di esperienza professionale, posso affermare che questi episodi sono talmente ricorrenti da diventare un serio motivo di riflessione.

Un esempio illuminante riguarda una semplice conversazione: invitando una persona a cena da un amico sconosciuto, che simpaticamente chiamo “signor Vedano al Lambro” (un nome di fantasia), il mio interlocutore, invece di comprendere il contesto giocoso, va in blocco, rispondendo che non conosce questa persona. La richiesta, che era una semplice proposta di incontro, viene fraintesa, generando confusione e incertezza, nonostante la chiarezza della domanda. Questo tipo di reazione, purtroppo, non è stato un caso isolato, ma si è ripetuto più volte, evidenziando una difficoltà di base nel comprendere una semplice situazione comunicativa.

Un altro esempio, forse ancora più preoccupante, riguarda il lavoro. Nel commissionare un intervento a un professionista, come un imbianchino, l’uso di termini tecnici di base, come “vani” per descrivere le stanze, provoca un cortocircuito comunicativo. Nonostante io avessi fornito una spiegazione dettagliata (8 vani, 150 metri quadri da imbiancare), il professionista ha mostrato difficoltà nel comprendere la richiesta, arrivando a chiedere chiarimenti su concetti che dovrebbero essere familiari.

Questi esempi non sono isolati, ma sintomi di una tendenza più ampia e preoccupante: la difficoltà di molti giovani laureati nel gestire informazioni, risolvere problemi o semplicemente comprendere ciò che viene loro comunicato in maniera diretta. Si tratta di una forma di “analfabetismo funzionale”, che, a differenza dell’analfabetismo classico, riguarda la capacità di comprendere e interpretare correttamente le informazioni, piuttosto che la mera abilità di leggere e scrivere.

Il problema è complesso e merita un’attenzione maggiore, soprattutto perché coinvolge persone che hanno investito anni nello studio e nella formazione. La domanda che dobbiamo porci è: come è possibile che, nonostante una formazione accademica, si arrivi a queste difficoltà? Qual è il ruolo dell’istruzione superiore, e perché sembra che, in molti casi, non riesca a fornire gli strumenti necessari per affrontare la realtà?

Il fenomeno dell’analfabetismo funzionale tra i laureati non è solo un problema individuale, ma un segnale di un più ampio malfunzionamento del sistema educativo. Questo problema mina la fiducia nelle competenze acquisite e può avere gravi ripercussioni sul mondo del lavoro e sulla società in generale. È essenziale affrontare questa sfida, per garantire che i giovani siano effettivamente preparati non solo a livello teorico, ma anche pratico e critico, per affrontare le complessità della vita quotidiana.

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